La produzione non supera le 3000 tonnellate ogni due anni, ma lo si trova ovunque. Come è possibile? A porre questa domanda è il giornalista Emilio Casalini nel servizio del programma Report che andrà in onda questa sera su Rai tre.
Il pistacchio di Bronte, che cresce sulle rocce laviche dell'Etna, si raccoglie solo a mano ogni due anni ed è protetto da una Dop che lo rende prezioso. Ma nel mondo di pistacchio accostato al nome Bronte ne gira molto di più.
"Da un lato la normativa europea e quella italiana tutelano i prodotti Dop. Dall'altro però consentono di scrivere 'made in Bronte' su prodotti alimentari la cui provenienza è straniera ma in Sicilia subiscono una lavorazione. Anche minima - ci spiega Casalini anticipando quello che vedremo questa sera a Report - Per cui abbiamo il pistacchio siriano, turco o iraniano che viene semplicemente tritato, ossia un banale cambio di stato fisico, e in questo modo acquista la possibilità di avere scritto in etichetta, 'made in Bronte'".
"Anzi, per essere precisi - puntualizza Casalini - ci sono quelli che scrivono 'prodotto e confezionato a Bronte'. Ci aggiungono l'immagine della Sicilia e la suggestione per il consumatore medio è fatta. Poi c'è anche chi scrive proprio 'made in Bronte' e non si capisce come questo sia permesso quando non si tratta di pistacchio Dop. Ovviamente tutto ciò si traduce in un danno per i produttori di pistacchio Dop".
L'anno scorso il Dott. Tino Loria ha presentato la sua tesi di laurea sul pistacchio di Bronte dal titolo "Le aflatossine nel pistacchio commercializzato a Bronte" nella quale è emerso che la contaminazione da queste potenti micotossine del pistacchio locale (produzione propria) è praticamente assente, mentre in tutti i prodotti acquistati per l'attività di indagine è risultato un quantitativo non trascurabile di micotossine. Nella tesi scaricabile online potete trovare i risultati mentre in questo breve video la discussione: